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INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI IDE
RAPPORTO CEPAL

A stupire decisamente è il risultato dell’Argentina che riesce ad aumentare sensibilmente gli Ide nello stesso semestre in cui annuncia la nazionalizzazione di YPF, la compagnia petrolifera prima controllata dalla spagnola Repsol. Va detto che, pur a fronte di un aumento del 42%, gli Ide diretti verso l’Argentina rimangono inferiori in valore assoluto rispetto a quelli di economie comunque più piccole, come quelle di Cile, Colombia e Perù. Eppure la logica conseguenza della nazionalizzazione di YPF – predetta dalla quasi totalità degli analisti economici – sarebbe dovuta essere piuttosto un crollo degli investimenti, anche se momentaneo, causato da un ambiente economico percepito come rischioso.
Perché non sono crollati gli Ide argentini? Un ruolo importante l’ha sicuramente giocato la legislazione approvata dal governo Kirchner. Per evitare la svalutazione del peso e accumulare valuta pregiata è stato di fatto impedito alle filiali locali delle multinazionali estere di redistribuire gli utili alla casa madre, obbligando varie aziende a reinvestirli nel paese. D’altra parte la stessa nazionalizzazione di YPF rispondeva anche a questa esigenza: impedire all’azienda di redistribuire gli utili alla casa madre spagnola allo scopo di reinvestirli nello sviluppo dell’area petrolifera di Vaca Muerta e nella gestione dei pozzi esistenti. Se per YPF quest’obiettivo sembra essere stato raggiunto, molte altre compagnie hanno optato per il semplice acquisto degli edifici dove risiedono – in precedenza semplicemente affittati – oppure in investimenti in settori in cui non sono specializzati.
In questa situazione, proprio gli Ide si stanno rivelando il tallone di Achille del governo Kirchner. La nazionalizzazione del colosso petrolifero non ha rasserenato il clima ed è solo uno degli episodi che contribuiscono al creare una sensazione di sfiducia degli investitori esteri. Le tensioni con la Gran Bretagna per le Falkland/Malvinas, lo scontro aperto con il Fondo monetario internazionale, l’adozione di misure sempre più protezionistiche, le polemiche con gli Stati Uniti e la questione del pagamento dei creditori internazionali hanno contribuito alla decisione di varie agenzie di rating di abbassare la valutazione dei bond argentini a lunga scadenza con ovvie ripercussioni sugli investimenti.
A quanto detto finora si aggiungono nuove rogne per l’Argentina. Pochi giorni fa si è pronunciata la Corte di New York che ha definito discriminatoria la decisione del governo di non corrispondere il pagamento dei debiti contratti con alcuni fondi sovrani che non hanno accettato la ristrutturazione del debito. Il ministro dell’Economia argentino, Hernan Lorenzino, ha dichiarato a tal proposito che “l’Argentina non pagherà mai i fondi avvoltoio”. Recentemente, inoltre, il Messico si è unito ad una causa intentata presso l’Organizzazione mondiale del commercio da Stati Uniti, Ue e Giappone contro le restrizioni al commercio bilaterale messe in atto da Buenos Aires.
In questo scenario, YPF rappresenta un caso isolato derivante anche dalla tradizionale maggior tolleranza al rischio delle compagnie petrolifere. A dispetto delle polemiche post-nazionalizzazione e delle minacce di azioni legali da parte di Repsol, la compagnia argentina ha siglato un accordo con la statunitense Chevron per lo sfruttamento dello shale oil di Vaca Muerta. Allo stesso tempo, altre compagnie come Exxon, Apache, PDVSA e Gazprom sono in trattativa per la firma di altri accordi. Ma il settore petrolifero rischia di rimanere un’eccezione in un panorama sempre più ripiegato su se stesso e in un ambiente economico che scoraggia investimenti esteri.

2 novembre 2012